come un avvocato civilista
diventa un counselor relazionale.
I diritti della persona sono situazioni giuridiche strettamente collegate al concetto di persona, riconosciuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nella Costituzione italiana e nelle leggi nazionali che le applicano.
L’invito alla lettura degli articoli è la mano gentile dell’Informazione tesa verso la Conoscenza utile e non teorica: in ognuno di questi contenuti solennemente fissati si muovono bisogni e desideri della vita di ogni giorno.
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La Costituzione Italiana all’art. 2 “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.
Il nostro sistema giuridico considera i diritti inviolabili dell’uomo come diritti assoluti (tutelabili erga omnes, cioè nei confronti di tutti gli altri soggetti), personalissimi (non suscettibili di alienazione) e imprescrittibili (inestinguibili per volontà altrui).
Al di là del linguaggio tecnico, risuona la potenza di queste proclamazioni.
SIAMO E VALIAMO TUTTI QUESTI DIRITTI, eppure accade che lo dimentichiamo.
Accade che essi ci sembrino d’improvviso lontani, astratti, anche utopistici.
Le circostanze che viviamo dentro e fuori di noi sfumano i contorni di queste libertà inviolabili e noi perdiamo il contatto con il loro significato.
Nella mia esperienza da avvocato civilista ho fatto valere diritti lesi, negati, minacciati.
Ho tradotto sentenze vittoriose a clienti vincitori che, oltre il tempo della celebrazione, non sapevano tuttavia ripristinare lo stato di benessere.
Anche quella idea di vittoria, in quanto processuale, risultava una forzatura relativa e quindi disallineata con una visione autentica ed estesa della persona che l’aveva tra le mani… tra le mani, appunto, ma non addosso, non dentro se stessa.
La difesa legale restituiva lo spazio a quei diritti, il senso di equità o di giustizia, ma non aiutava a recuperare la percezione della propria compiutezza e della propria prospettiva.
Non l’avrebbe potuto fare, d’altronde: nessun riconoscimento se non quello che parte da noi stessi è duraturo e quindi evolutivo.
La mia formazione forense mi parve ad un certo punto un treno troppo veloce per caricare i passeggeri alla ricerca di tempi, tappe e destinazioni diverse.
Finchè lo divenni anche io: un viaggiatore con una mappa in scala troppo ridotta per risultare un utile strumento di orientamento.
Così un giorno di ottobre, nel 2019, mi ritrovai a Piacenza al convegno nazionale “Né Buoni né Cattivi” del Centro Psicopedagogico per l'educazione e la gestione dei conflitti: l’atmosfera della ideologia e della appartenenza nel teatro di una città piccola ospite di pensieri grandi.
Né buoni né cattivi: nessun antagonismo, nessun giudizio.
SIAMO NOI STESSI NELLA MISURA IN CUI SIAMO GLI ALTRI: una sorta di invito all’educazione alla relazione, alla costruzione della capacità relazionale.
Conobbi lì Daniele Novara e il suo approccio maieutico alla gestione dei conflitti, che mi fece scoprire l’importanza della sosta per darsi il tempo di scegliere la destinazione.
E moltissime altre cose.
Seppi solo più tardi, e gradualmente nel corso dei miei studi di counseling, come integrare la mia provenienza giuridica con la ristrutturazione della mia identità professionale, come riutilizzare gli apprendimenti della mia esperienza forense nella nuova dimensione relazionale che sostiene la professione del counselor.
Il trait d’union è rimasto per me quello che il 10 dicembre 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite auspicò come il trait d’union universale per il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo: “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili” (preambolo Dichiarazione Universale dei Diritti Umani).